domenica 14 maggio 2017

Il pittore di ex voto





L'impalpabilità fugace delle nuvole non è interpretabile con una sequenza armonica di espressioni numeriche. Si possono cogliere solo soggettivamente degli elementi ritenuti essenziali nella coscienza dei limiti del proprio transitorio punto di vista. Nulla, del resto, procede seguendo un perfetto percorso deterministico. Nemmeno il pensiero individuale o l'aspetto fisico. Si rivela un'illusione leggere qualsiasi faccia della realtà da un'ottica scientifica. Meglio constatare come perfino nella matematica domini l'irrazionalità (si pensi al mistero dei numeri primi) e non sforzarsi di razionalizzare tutto.

Pro bono malum. Questo è il motto che Ariosto volle fosse impresso alla fine dell'Orlando Furioso probabilmente per sottolineare la relatività di ogni valutazione, i limiti di ogni visione assoluta, l'assurdità di ogni convinzione granitica o trascendente.

Un motto che si addice bene anche al Pittore di ex voto (Tullio Pironti, 2017), splendido romanzo breve di Paolo Codazzi.

Con ostinata lucidità, l'autore rifiuta qualsiasi immersione mistica, qualsiasi esaltazione della volontà imperscrutabile di un Dio che salva gli uni ma condanna gli altri (come se fosse una divinità capricciosa, il Dio crudel di Boito).

Nessun intervento trascendente si ricollega al bizzarro destino di Fulvio che gli riserva, sì, la salvezza da due terribili sinistri, ma che al contempo gli impone anche di non godere a lungo l'idillio sentimentale inseguito sin dai banchi di scuola e raggiunto al di là di ogni previsione.

Nessuna divinità adirata si scatena contro l'effimera tranquillità raggiunta da Thomas che, per colpa di una nascita irregolare, non può che essere un reietto nella società del Dopoguerra.

Nessun miracolo fa sì che la guarigione di Luca sia determinata da ciò che avrebbe dovuto ucciderlo, cioè da un morso di una vipera e dal ritardo dei soccorsi.

Il male, così come il bene”, scrive Codazzi, “non è perfetto, e nella sua evoluzione può arrestarsi facendo gridare al miracolo, all'intervento di forze sovrannaturali, in realtà una consistente percentuale di mali regredisce o si arresta (…) solo per un semplice caso”.
Sballottati dall'insensata imprevedibilità della vita, gli uomini aggravano la loro precarietà sofferente incolpandosi l'un l'altro, agendo coscientemente per danneggiare il prossimo, per farlo soffrire.

Tutto ciò è inaccettabile, ci dice tra le righe Codazzi. La tragica inconsistenza umana deve condurre alla tolleranza, alla disponibilità all'ascolto, all'accettazione delle credenze altrui, se tali credenze si rivelano innocue.

In altri termini, per tornare al romanzo, se una madre espone un ex voto nel santuario della Madonna di Montenero come ringraziamento verso la Vergine per aver salvato il proprio figlio da una morte certa, il figlio non ha alcun diritto di appropriarsi dell'ex voto perché ritenuto un inutile atto di superstizione, ma deve rispettare la sensibilità della madre, anche se defunta, mantenendo saldo un rapporto di rispetto verso le credenze altrui che dovrebbe andare al di là della morte.

Questa forse la sostanza di un libro affascinante, il cui continuo ondeggiare tra il passato e il presente, che talora si fondono in maniera impercettibile – nella convinzione che “il tempo cronologico non” sia “nella nostra mente, ma solo nell'orologio che portiamo al polso” -, è impreziosito da una prosa ipotattica ma fluida, da un lessico raffinato, da attese mai disattese, da un'ironia sottile che permea tutta la narrazione e che accompagna, discreta, la densità drammatica del materiale narrativo.


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